22/01/16

The Revenant - recensione


Ci sono infiniti motivi per cui la qualità di un film, un libro o una canzone rientra nella categoria "alta" (non sto facendo distinzioni tra A, B o Z come comunemente accade) e in rari casi in quella del "capolavoro". Ci sono dei criteri di estetica, di linguaggio e di senso che aiutano a capire, ma non sempre, perché una cosa ci piace o non ci piace. La critica fine a se stessa è pressoché inutile e alcuni critici di professione non sono altro che parassiti (ho detto alcuni, non tutti), ma quella che formula, indaga, approfondisce e cerca di capire le ragioni di un'opera artistica serve a stabilire anche quei codici di linguaggio nelle diverse epoche storiche e dare una spinta evoluzionistica che dai Lumière è arrivata, per dire uno degli ultimi capolavori che mi è capitato di vedere al cinema, a George Miller.
Tutta questa supercazzola per dire che The Revenant di diritto rientra in questa categoria, come mille altri per mille ragioni, ma che questo "diritto" non si conquista semplicemente facendo i bravi compitini a casa. 

Perché Inarritu è bravo. Lo sappiamo ed è inutile dirlo. E poi la scena con l'orso. E c'è l'uomo solo contro la natura e il senso epico dell'odissea che deve attraversare DiCaprio etcetera.
Ma c'è qualcosa che sfugge ai livelli interpretativi e va al di là del 'mi piace' o 'non mi piace', 'mi emoziona' o 'non mi emoziona'; c'è qualcosa, in questo film, che non mi ha convinto diciamo dal quindicesimo all'ultimo minuto (ed è tanto, visto che dura due ore e mezza). Che m'ha fatto sembrare questa dimostrazione di bravura una messa in scena, una forzatura, di un regista che arrivato all'apice della carriera si mette ulteriormente in mostra portando sullo schermo un'avventura vuota, stilosa, per carità, ma senza un'anima. 
È come se dopo una vittoria per i cento metri mi fai fare una maratona. Non c'ho voglia. O come se dopo essermi abbuffato con il mio piatto preferito mi chiami uno chef di cucina molecolare e mi sottoponi intrugli esperienziali. Non mi vanno.
Così, a parte qualche indiscutibile picco emotivo, il film annoia.
Hugh Glass, il personaggio interpretato da DiCaprio non l'ho capito. Non ho capito il motivo per cui Hollywood abbia dovuto farci un film. 
Quello di Tom Hardy ad esempio è un personaggio nettamente più interessante, stratificato e convincente. Ma non va bene che io sia più interessato a una storia "secondaria" rispetto a quella principale. 
La "critica", quella critica di cui sopra, parlerà di senso della mise en scène cinematografica, di movimenti della Mdp e dello sguardo di DiCaprio che rompe il muro della Quarta Parete alla fine del film.
Stronzate.
Ecco, mi sa che Inarritu ha fatto il film per questi qua anziché pensare alle genuine emozioni del pubblico. 
Bravo sì, per carità, però...

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